2022
Nel ciclo “Catastrofi” portato avanti tra il 2004 e il 2007, Bertè fa rivivere le angosce del mondo contemporaneo afflitto da cataclismi naturali e drammatici conflitti. Successivamente, nelle opere degli anni precedenti la pandemia, traspaiono invece “veli bianchi” con un raffinato utilizzo di carta di seta posata sul paesaggio con la tecnica del “marouflage”.
Della sua pittura scriveva Roberto Tassi, “L’immobilità è stigma assoluta dei paesaggi di Bertè. che sono quelli sui quali si stringe il nostro discorso; ma l’immobilità vi è anche contraddetta da arbusti che spuntano e fioriscono, da ciottoli sparsi, da prati verdissimi, da costellazioni che ruotano. Fossilizzazione e proliferazione si congiungono e si contraddicono a vicenda; miraggi di città si concretano in pietra, profili di case su un colle si riflettono entro una distesa di acqua solida che sta ai suoi piedi, incastri di mura e di ombre chiudono questi spazi labirintici”.
Nel 2018 un suo lavoro è stato esposto alla mostra “Custos” allestita dallo Studio ETre nel duomo di Piacenza in occasione della Rassegna “I misteri della Cattedrale”: una narrazione che si avvaleva di una serie di opere su carta di dodici artisti contemporanei di respiro internazionale che si interrogavano sull’importanza di avere a cuore diversi aspetti dell’esistenza umana. A commento dell’opera di Bertè è stata ripresa una frase del sociologo Francesco Alberoni “Anche nelle catastrofi più gravi, dal profondo dell’essere ferito, viene la risposta di salvezza. Non è il tempo che cura, è la caduta stessa che ci libera” (pubblicato da La Libertà il 24 dicembre 2022.
Pubblicato da La Libertà il 24 dicembre 2022